Pina Vergara e l’arte post Coronavirus

Ciao Pina, sei preoccupata per come proseguirà il modo dell’arte dopo l’emergenza Coronavirus?
“Io penso che l’arte non si fermi. Ho parlato di questo con Stefano Regolo, un mio amico scrittore. La
quarantena ha paradossalmente dato voce agli artisti e al mondo dell’arte; se prima un artista veniva
considerato soltanto quando era famoso, adesso la quarantena ha posto degli interrogativi su come dare
una dignità al nostro lavoro. Anche noi dobbiamo essere riconosciuti. Secondo me quando si potrà andare
nei teatri o nei cinema verranno popolati perché la gente è stata in compagnia degli artisti; se non ci fossero
stati, in questa quarantena molti si sarebbero suicidati. L’arte ha dato la forza di andare avanti. Tutti, noi
artisti compresi, ci siamo dati forza guardando film, scrivendo poesie, ballando e recitando, guardando gli
artisti. Credo, e mi auguro e spero, che da questa crisi si sceglierà sempre l’arte e la cultura. Sono loro che
salveranno il mondo. Noi siamo abituati all’intelligenza cognitiva, ma quella emotiva e artistica dove la
mettiamo? E’ grazie all’emotività che ci diamo forza. Nei momenti bui non stiamo lì a ragionare, a chiederci
quanto fa 2+2. Nei momenti bui ci diamo forza con le emozioni. Facciamo i calcoli, è vero, perché a fine
mese non ci arriviamo. Ma due sono le cose: o ti suicidi o balli, canti e reciti. E’ sempre l’arte che ti salva”.
Immagino che anche per te l’arte sia stata salvifica.
“Esatto. Ogni volta che mi sono trovata per terra, nei momenti più bui, mi immagino l’arte come questa
grande mano che mi ha tirato per i capelli. Una forza che mi diceva che ero viva e che lei mi faceva vivere.
Mi auguro che il teatro, il cinema e la produzione multimediali vengano messi come elemento di didattica
nelle scuole. Spero che gli artisti italiani, come avviene anche in altre parti d’Europa, vengano riconosciuti
come lavoratori dell’arte e della cultura”.
Hai ragione. Spesso si pensa all’aspetto effimero dell’arte, senza guardare alla cultura che c’è dietro la
stessa.
“E’ vero. A volte sarei voluta nascere “normale”; altre volte solo con una cosa, della serie recitare e stop.
Invece l’arte ha il potere di accelerarmi il cervello. Di recente, ho iniziato a suonare la batteria. Per questo
omaggio mio zio Pasquale, che suonava con Pino Daniele, Tullio D’Episcopo, Tonino Esposito. James Senese
ha iniziato a suonare nel mio palazzo a Frattamaggiore. Mio zio Pasquale da lassù sta ancora agendo su di
me. Io ho tre fratelli, uno si è fatto comprare la batteria. Un altro suona il sassofono e sta studiando come
tecnico del suono, mentre il terzo è avvocato. Mio padre è medico: lui cura i colpi, ma mi ha trasmesso la
passione. Vorrei dunque fare un omaggio ai medici: se io mi sono innamorata dell’arte, è perché lui mi ha
fatto innamorare dell’arte”.
E’ molto bello questo pensiero.
“Sì. Ti racconto che per lui non è mai esistito l’orario di lavoro. Si dedicava completamente ai suoi pazienti. Il
giorno prima della mia comunione, mio padre stette sino alle quattro di notte con un suo paziente. I medici
sono i veri eroi. Mio papà mi ha trasmesso il lavoro come missione. Tutti siamo chiamati ad essere eroi, a
fare del bene nel nostro piccolo. A portare la passione nel mondo. C’è chi come mio padre che la porta fuori
curando le persone, noi artisti dovremmo curare invece le anime”.
C’è qualcosa che vuoi aggiungere su questa quarantena che abbiamo appena affrontato?
“Vorrei ricordare i nostri nonni. All’inizio della quarantena si tendeva a dire che morivano solo gli anziani,
come se fosse una cosa meno grave. Io posso dire che mi sento orfana ogni volta che muore un anziano.
Loro sono i nostri bimbi saggi. Se tutt’ora ho la forza di andare avanti nella mia vita, è grazie a nonno
Gennaro, nonno Gaetano, nonna Antonietta e nonna Giuseppina. Ne ho incontrati anche tanti altri nella
mia vita, quando ho fatto da assistente agli anziani. Due miei nonni li ho accompagnati alla morte, ho avuto
anche questa esperienza”.

Che rapporto hai con la morte?
“Io vedo la morte come una Signora, con cui bisogna sapere ballare insieme. Una visione un po’ alla Dario
Fo di questa donna che viene qui per ballare. La morte ci può aprire dei morti. Questa quarantena deve
finire con noi che balliamo con la morte, che danziamo con lei. Per scoprire nuovi mondi e possibilità”.