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  • Francesca Cipriani e Alessandro Rossi: in arrivo un duetto dopo “Rica Morena”

    Alessandro Rossi, imprenditore edile, DJ e marito della showgirl Francesca Cipriani, torna sotto i riflettori con “Rica Morena”, un singolo rivoluzionario che combina sonorità internazionali e tradizione italiana in un remix unico nel suo genere. Il pezzo, rivisitazione del celebre brano afro del 2007 di DJ Stefan Egger, contenuto nell’album “Cosmic Evolution”, porta con sé la volontà di far sorridere e alleggerire il cuore di chi lo ascolta, parlando con semplicità e immediatezza a tutte le generazioni.

    “Rica Morena” cattura l’attenzione per l’uso inedito della fisarmonica, strumento simbolo della Romagna, terra che ha plasmato Alessandro con la sua ricca cultura musicale e folcloristica, sposandosi perfettamente con le sonorità house commerciali e il testo in lingua spagnola, interpretato da un talentuoso cantante madrelingua. Questo mix straordinario dà vita a un intreccio sonoro che trascina grandi e piccini in un’esperienza di festa e condivisione.

    Alessandro Rossi spiega:

    «Ho voluto creare qualcosa che portasse gioia e leggerezza, soprattutto ai giovani, che dopo la pandemia sembrano aver perso l’entusiasmo per le piccole cose. La musica è ancora una scintilla che accende emozioni, e con “Rica Morena” spero di regalare sorrisi e momenti di spensieratezza.»

    Alessandro, che ha ripreso in mano la sua carriera musicale dopo anni di pausa dedicati alla sua attività imprenditoriale, racconta come questo progetto sia stato il frutto di un lungo percorso di crescita personale e artistica:

    «È un brano che avevo nel cassetto da oltre dieci anni. L’esperienza maturata mi ha permesso di dargli la forma che sognavo: melodie ballabili, strumenti che parlano all’anima e una produzione curata nei minimi dettagli.»

    Ma le sorprese non finiscono qui. Francesca Cipriani, in un’intervista rilasciata a Monica Setta nel programma di Rai 2 “Storie di donne al bivio”, ha annunciato che la coppia sta lavorando a un brano insieme, la cui uscita è prevista per la prossima estate. Questo esordio musicale promette di fondere la solarità di Francesca con l’energia creativa di Alessandro, dando vita ad un intreccio di complicità e passione, pronto a diventare il simbolo di una sintonia artistica e personale. Il brano segnerà una nuova tappa nel loro percorso, consolidando la loro presenza nello show-biz italiano e regalando al pubblico una collaborazione che saprà sorprendere e conquistare.

    Intanto, con “Rica Morena”, Rossi tesse un filo conduttore tra passato e presente unendo generazioni e culture, e ci esorta a riscoprire la bellezza dei piccoli momenti e a lasciarci trasportare dalla forza liberatoria della musica. Alessandro, che oltre ad essere un imprenditore è anche docente occasionale per i ragazzi delle scuole superiori, ha dichiarato di essere stato ispirato proprio dalle nuove generazioni:

    «Spesso vedo ragazzi tristi e demotivati, ma la musica è un linguaggio universale che può restituire loro la spensieratezza. Con questo brano ho voluto creare un momento di allegria e unione.»

    “Rica Morena”, oltre a segnare il ritorno di Alessandro Rossi sulla scena musicale, si diversifica dall’attuale produzione facendosi portavoce di una promessa. Una promessa di leggerezza in un mondo appesantito, un invito a ballare anche quando i passi sembrano pesanti, un’occasione per ricordare che tra le pieghe della quotidianità si nasconde ancora il ritmo della felicità. E se è vero che la musica ha il potere di trasformare un istante in un ricordo indimenticabile, allora Alessandro Rossi, con questo come back, ci ricorda che la vita non aspetta: va vissuta, cantata, ballata.

  • Povertà mestruale, F.L.Y. accende i riflettori: arriva “Quel giorno del mese”

    Quando la tecnologia incontra il cambiamento culturale, nascono iniziative in grado di trasformare la società. È il caso di F.L.Y. – Free Like You, startup FemTech nata nel 2024 con una missione chiara: creare una rete di supporto ibrida tra online e offline per migliorare l’accesso alla cura e al benessere femminile.

    Con un approccio innovativo e inclusivo, F.L.Y. lancia “Quel giorno del mese”, un format di eventi mensili pensato per anticipare il debutto della loro app ufficiale. L’obiettivo? Sradicare lo stigma sulle mestruazioni, creare consapevolezza e offrire strumenti concreti per contrastare la povertà mestruale, un fenomeno che, a livello globale, colpisce circa 500 milioni di persone.

    Un tema sempre più centrale nel dibattito pubblico, considerando che solo recentemente in Italia si è iniziato a discutere seriamente di tampon tax e accesso gratuito ai prodotti mestruali, seguendo l’esempio di Paesi come la Scozia, prima nazione al mondo a renderli disponibili gratuitamente per tutte. Con “Quel giorno del mese”, F.L.Y. intende portare questo dialogo nella vita quotidiana, offrendo soluzioni pratiche e creando spazi dove la salute mestruale non sia più un tabù, ma parte integrante del discorso sociale.

    Ogni appuntamento si articolerà in tre momenti distintivi:

    • Talk ispirazionali con esperti del settore e attivistə, per aprire un dialogo su salute mestruale, benessere psicofisico e sostenibilità.
    • Networking e DJ set per favorire connessioni reali in un ambiente rilassato.
    • Live performance di artiste emergenti, per sottolineare l’importanza della rappresentazione femminile nella cultura contemporanea.

    «Vogliamo normalizzare conversazioni che da troppo tempo sono rimaste marginali – dichiara Eleonora La Monica, Co-Founder e CEO di F.L.Y. -. Quel giorno del mese non è solo un evento, ma un punto di incontro per chi crede che il benessere femminile debba essere al centro del discorso pubblico.»

    Nell’ambito di questa iniziativa, il prossimo appuntamento sarà sabato 8 marzo, in occasione della Festa delle Donne, con un evento speciale a Roma: “Aperitivo in Rosso”, in collaborazione con Il Talento di Roma. Dalle 19:30, presso il Tartarughe Bar & Bottega (Piazza Mattei, 7), si terrà un aperitivo tematico dal forte valore simbolico, pensato per sensibilizzare sul tema della salute femminile, in un’atmosfera di condivisione e consapevolezza. La serata prevede un DJ set di Flaxsa, momenti di networking e riflessioni sui diritti e il benessere delle donne.

    Il format di eventi che accompagnerà il lancio dell’app F.L.Y. è un ecosistema digitale pensato per fornire supporto concreto alle donne, o, per citare la filosofa femminista Adriana Cavarero, “alle persone con utero”. Tra le sue funzionalità:

    • Calendario mestruale interattivo con notifiche personalizzate.
    • Mappa geolocalizzata dei dispenser F.L.Y. per accedere facilmente ai prodotti igienici.
    • Sistema di FLYCoin, valuta virtuale per ottenere sconti su visite specialistiche e servizi wellness.

    Un dato significativo sottolinea l’urgenza del progetto: 2 persone su 3 in Italia temono di non avere a disposizione prodotti mestruali al momento del bisogno, mentre il 95% del campione analizzato da Ipsos e WeWorld sostiene la distribuzione gratuita di tali prodotti nei luoghi pubblici.

    F.L.Y. si inserisce in un contesto internazionale in cui il settore FemTech sta rivoluzionando il modo in cui viene affrontato il benessere femminile. Se in Nuova Zelanda e Francia il dibattito sulla distribuzione gratuita dei prodotti mestruali ha portato a importanti riforme, in Italia il percorso è solo all’inizio. Con l’app F.L.Y., l’obiettivo è rendere disponibili oltre 500 dispenser nelle principali città italiane nei prossimi 18 mesi, a partire da scuole, coworking e spazi pubblici. Una risposta concreta a un’esigenza che non può più essere ignorata.

    Il FemTech al servizio dell’empowerment: il mercato globale del FemTech è stimato a 50 miliardi di dollari (2023) e si prevede in crescita tra il 12% e il 15% annuo. In questo contesto, F.L.Y. – Free Like You si posiziona come una delle startup italiane più promettenti, combinando tecnologia, educazione e impegno sociale.

    «Crediamo che benessere significhi accesso, informazione e libertà di scegliere – aggiunge Jacopo Leonardi, Co-Founder e Commercial Strategist di F.L.Y -. Con Quel giorno del mese e la nostra App vogliamo offrire non solo servizi, ma strumenti di emancipazione.»

    F.L.Y. – Free Like You affronta un tema urgente e attuale, in un Paese dove l’unica ricerca specifica sulla giustizia mestruale è stata condotta solo nel 2024. Un progetto che, attraverso un linguaggio diretto e accessibile, abbatte i tabù e promuove un cambiamento culturale necessario.

    “Quel giorno del mese” ci invita a ripensare il concetto di benessere, consapevolezza e inclusività. Perché parlare di mestruazioni significa parlare di uguaglianza, salute e diritti.

  • Naver: “530 è per chi si sente giudicato ma non smette di correre”

    Dopo aver conquistato oltre 12 milioni di stream con “Via Libetta” ed aver collaborato con artisti internazionali come him$ e Street Active, Naver, ex membro della Shangai Blood, torna sulla scena musicale con “530” (Millenari), un intreccio di street culture e simbolismi che riflette l’essenza della sua generazione.

    In un’Italia in cui, secondo dati ISTAT, oltre il 20% dei giovani si trova in condizioni di inattività lavorativa o scolastica, intrappolato in una società che offre verdetti e poche possibilità, “530” si propone come la colonna sonora di chi non vuole più aspettare. Naver racconta la corsa di chi cerca riscatto, il confronto con giudizi costanti e la rinascita di chi sceglie di costruire il proprio destino.

    “530”, infatti, non è solo un titolo: è un manifesto generazionale. Un numero, tre capitoli della stessa storia. È un canto di battaglia urbana per chi vive in bilico tra sogni che spingono verso l’alto e realtà che tirano verso il basso. È la lotta per essere assolti da sentenze che non si meritano, la rivalsa di chi sceglie di scrivere il proprio percorso. Un progetto in cui sonorità trap innovative, curate dalla giovane promessa Shard, si intrecciano con testi taglienti e riferimenti che nessuno aveva mai osato unire prima.

    «”530” è un viaggio, una liberazione e una rinascita. È quel momento in cui capisci che il parere degli altri non può bloccarti. Devi andare, e basta.» – racconta Naver.

    “530” è un numero che racchiude in sé una molteplicità di significati e riferimenti: La Yamaha TMax 530 – scooter simbolo di libertà e velocità nelle metropoli, che è per Naver l’emblema della urban culture e della costante ricerca di movimento -, l’Articolo 530 del Codice di Procedura Penale – che riguarda la “sentenza di assoluzione”, rappresentando per l’artista la rivincita dai giudizi e dalle etichette imposte dalla società – e, il significato numerologico del 530, che, nella simbologia angelica, indica cambiamenti positivi, transizioni necessarie e incoraggiamento a intraprendere nuove strade, un segno di maturazione e crescita, perfettamente in linea con il percorso artistico e di vita di Naver.

    Tutti questi significati trovano la loro massima espressione nelle barre di “530”, nelle quali Naver mette a nudo le contraddizioni e le difficoltà quotidiane di chi vive al margine. Parole crude, ritmi serrati e immagini forti raccontano un microcosmo rapsodico e convulso, in cui fermarsi non è mai un’opzione.

    «Bevo finché non sto sobrio, fumo fino a che sto alto, corro finché non mi schianto»: “530” è il ritratto sonoro di chi vive sempre con il piede sull’acceleratore, senza tempo per un pit stop, con l’urgenza di trovare un senso tra sogni e realtà. Naver utilizza la velocità e l’adrenalina del TMax 530 come metafora della vita, quella di chi cresce in quartieri in cui ogni frenata può costare cara e l’unica possibilità è tenere il ritmo al massimo, senza voltarsi indietro.

    La produzione di Shard, avvolgente e pulsante, accompagna liriche dirette che raccontano una Roma notturna e inafferrabile, fatta di strade da percorrere e scelte da compiere. È il fotogramma di chi fugge dalle imposizioni per costruire un futuro, in una nazione che sembra non offrire alternative.

    Ma ogni corsa ha i suoi ostacoli. E quando le ruote smettono di girare, restano i volti, i giudizi e le condanne non scritte. Perché oltre la strada, quella culla dolceamara in cui il cemento custodisce desideri e delusioni, c’è il tribunale invisibile della società, pronto ad emettere sentenze senza ascoltare le storie di chi sta correndo.

    E proprio qui, “530” si fa confessione e sfida: nelle sue rime, Naver affronta a viso aperto le etichette e le aspettative preconfezionate da chi guarda senza conoscere: «Chiedo cosa commentate, uno che non conoscete? Non sapete nemmeno cosa combatte».

    Se il TMax 530 rappresenta la frenesia della vita, l’Articolo 530 del Codice di Procedura Penale introduce un tema ancora più profondo: il giudizio e l’assoluzione. In un tempo in cui il sistema sembra pronto a condannare tutto e tutti, Naver si schiera dalla parte di chi viene etichettato, processato senza appello.

    Con questa traccia, il rapper capitolino offre una riflessione lucida e attuale su questo aspetto, come lui stesso spiega:

    «”530 è per chi vive sotto giudizio, sotto accusa. Per strada, sui social, ovunque. Ma non sempre chi è accusato è colpevole. Questo pezzo è per chi cerca la sua assoluzione.»

    Un messaggio forte, privo di edulcorazioni, in linea con le discussioni contemporanee sulla cancel culture e sul diritto a una seconda possibilità, che rende “530” altamente rilevante e necessario.

    Naver si propone così come la voce di chi lotta per essere ascoltato in un mondo che preferisce voltarsi dall’altra parte e puntare il dito senza conoscere. Con “530”, racconta la quotidianità di chi è sospeso tra il desiderio di affermarsi e la battaglia per essere assolto da colpe che non gli appartengono. Un brano che non chiede permesso, ma pretende attenzione. Perché, a volte, essere assolti significa semplicemente essere compresi.

    Per Naver, questo brano, segna anche e soprattutto un momento cruciale di rinascita. Dopo la rincorsa frenetica e lo scontro con accuse costanti, arriva il momento di scegliere la propria strada: secondo la simbologia angelica, il 530 è un numero che invita al cambiamento, alla transizione e alla crescita personale. È un incoraggiamento a lasciare il passato alle spalle per intraprendere nuove vie. Un concetto che si lega perfettamente al percorso artistico e di vita del rapper:

    «Per me, 530 è un segnale – conclude -. È quel momento in cui smetti di correre per scappare e inizi a correre per costruire. È la strada che ho scelto.»

    Con “530”, NAVER supera il racconto della semplice sopravvivenza urbana e apre una nuova fase artistica, più matura e consapevole. La corsa diventa scelta, la fuga si trasforma in un viaggio verso qualcosa di edificante e desiderato. È qui che Naver si differenzia davvero: non è solo la voce della strada, ma di chi, dopo averla percorsa, sceglie di costruire qualcosa di duraturo.

    “530” diventa così l’inno di una generazione che non vuole più aspettare, che è pronta a prendersi ciò che le spetta. Senza scuse. Senza freni. Senza timori.

  • “Mon Cher”: Melissa svela la fragilità dei rapporti nell’era dei like

    A soli 14 anni, Melissa, all’anagrafe Melissa Agliottone, è già una delle voci più promettenti della scena musicale italiana. Dopo aver conquistato pubblico e critica vincendo la prima edizione di The Voice Kids su Rai 1, l’artista marchigiana ha avuto l’onore di esibirsi davanti a Papa Francesco allo Stadio Olimpico di Roma, di aprire concerti per icone come Loredana Bertè, Rettore e Rosa Chemical e di essere scelta come rappresentante italiana allo Junior Eurovision Song Contest. Ora, con il nuovo singolo “Mon Cher” (Keyrecords), prosegue il suo percorso artistico con una canzone che fotografa le relazioni basate sull’apparenza e il bisogno di autenticità in un mondo che spesso si ferma alla superficie.

    In un’epoca in cui le interazioni spesso si consumano tra notifiche e schermi, “Mon Cher” è un ritratto lucido della superficialità nei rapporti di oggi che racconta il vuoto, la sensazione di smarrimento, di chi cerca conferme negli altri senza mai trovare un reale sostegno, di chi colleziona attenzioni senza saper dare valore ai sentimenti. Avvolto dal magnetismo di un sound che alterna toni intimi e aperture più incisive, il brano immortala l’antitesi tra il desiderio di connessione e la leggerezza delle relazioni usa e getta. «Nemmeno uno sguardo, cosa vuoi da me? Se poi fai tutto questo con una, due o tre», canta Melissa in un ritornello che incalza e resta impresso, suggellato tra mente e cuore, mettendo a nudo il disagio di chi si trova a fronteggiare un amore fugace e inconsistente.

    Una riflessione generazionale su chi confonde il valore personale con il numero di elogi ricevuti, che la stessa giovanissima cantautrice spiega con queste parole:

    «Oggi sembra quasi che conti più essere notati che essere capiti. Con questa canzone ho voluto raccontare il punto di vista di chi non si accontenta di un legame superficiale, ma cerca qualcosa di vero, anche quando significa dover rinunciare a qualcuno.»

    “Mon Cher” parla alla Gen Z con un linguaggio diretto, contemporaneo, immediato. Il brano intreccia riferimenti internazionali e immagini di facile richiamo, come nell’ironia del verso «Hai la fila ma sembra diretta a Nizza, occhi azzurri, bionde e basse, ‘Je veux du ketchup sur ma pizza’», che sottolinea il contrasto tra l’apparenza e la sostanza dei rapporti moderni. Il titolo stesso, in francese, gioca con questa ambivalenza, accostando eleganza, significato e leggerezza. Un messaggio chiaro: dietro il fascino effimero si nasconde spesso il vuoto.

    Quello di Melissa è un percorso in continua crescita, che l’ha vista spaziare tra sonorità ed emozioni diverse. Dall’energia di “Africa” alla riflessione suggestiva di “Un Mondo Giusto” (feat. Ranya), fino all’allure malinconica di “Viole”, ogni brano ha rappresentato una tappa importante del suo viaggio artistico. Con “Mon Cher”, Melissa aggiunge un nuovo tassello alla sua identità musicale, dimostrando una consapevolezza sempre più solida, una padronanza vocale e scenica da vera professionista e una capacità interpretativa che va ben oltre la sua età.

    Dotata di un’abilità straordinaria per tecnica ed espressività, Melissa è una voce che emoziona e un talento che convince. Il cammino che l’ha portata alla musica è iniziato quasi per caso, come strumento per affrontare attacchi di panico, trasformandosi in una passione che l’ha rapidamente condotta sotto i riflettori.

    «Nonostante la mia età – conclude -, sento la musica come il modo più naturale per raccontare quello che provo e quello che vedo intorno a me. Con “Mon Cher” ho voluto dare voce a chi non si riconosce in un’idea di amore veloce e senza significato.»

    Con “Mon Cher”, Melissa dimostra di essere non solo una giovane artista con un potenziale straordinario, ma una cantautrice in grado di interpretare le emozioni della sua generazione con sincerità e forza comunicativa.

  • Kiara e Budapest: quando una città diventa simbolo di rinascita

    Cosa accade quando una città diventa il teatro di una rivoluzione personale? Con “Budapest”, Kiara ci porta sulle rive del Danubio, dove il passato lascia spazio alla rinascita e l’amore trova il coraggio di guardare avanti. Prodotto da Alessandro Di Somma e masterizzato da Stefano Crispino, il nuovo singolo della cantautrice napoletana d’adozione monzese fonde melodia e introspezione in una narrazione che parla di conferme, di scelte e del potere trasformativo dell’autenticità.

    Dopo aver conquistato con “Portami a ballare”, Kiara torna per convertire i ricordi in slancio verso il futuro. “Budapest”, fuori per PaKo Music Records con distribuzione Believe Italia, è la fotografia di un momento, la testimonianza di come i luoghi e le esperienze possano cambiare la nostra prospettiva. La voce di Kiara si intreccia a una produzione raffinata per raccontare la lotta contro le proprie ombre.

    «È durante un viaggio a Budapest che ho realizzato quanto fosse importante lasciar andare le zavorre del passato – spiega l’artista -. La città, con la sua bellezza e il suo respiro antico, mi ha permesso di fermarmi e guardarmi dentro, trovando la forza di accettare la mia storia e di costruire qualcosa di nuovo.»

    Budapest, crocevia di etnie e culture, con la sua capacità di reinventare un passato travagliato in una moderna capitale pulsante di vita, rappresenta per Kiara il luogo ideale in cui affrontare i propri fantasmi e trovare la spinta per ripartire. Tra le rive del Danubio e i suoi ponti iconici, il pezzo ci parla di un viaggio che si snoda tra ricordi, scelte e nuove possibilità, intrecciando l’anima della città a quella di chi trova dentro sé il coraggio di cambiare.

    In un momento storico in cui il cambiamento e la ricerca di nuove prospettive sono sempre più rilevanti, “Budapest” si presenta come un messaggio di speranza e autodeterminazione: lasciare andare ciò che ci appesantisce per costruire il proprio futuro. La bellezza malinconica della metropoli ungherese, fa da cornice non solo al vissuto personale di Kiara, ma a un’esperienza condivisa, un invito a tramutare il dolore in coraggio e i luoghi in ricordi indelebili.

    Nel testo, immagini e sensazioni si alternano in un mosaico di emozioni: «Barcollando per capire qual è la mia verità, giusto il tempo di soffrire, sono rotta a metà»; un verso che svela il peso di ferite ancora aperte, di una voce interiore che cerca la sua via d’uscita. Ma è nel passaggio «Pensavo che strano non provare a viverci, noi sul fiume qui a Budapest» che tutto si cristallizza: arriva il punto di svolta, l’istante in cui la consapevolezza diventa scelta, permettendo che i ricordi diventino un nuovo inizio.

    I suoni elettronici si mescolano a melodie calde, creando un’atmosfera che ricorda la città stessa: un equilibrio perfetto tra modernità e nostalgia. Questa dualità rispecchia l’anima della canzone, che si muove tra passato e presente, tra il lasciarsi andare e il decidere di restare.

    «”Budapest” è il mio sigillo, la mia conferma che, nonostante tutto, possiamo rinascere – conclude Kiara -. È una dedica a chi si sente bloccato dai ricordi, ma anche un invito a chi ha il coraggio di lasciarsi alle spalle ciò che non serve più. Non è mai troppo tardi per scegliere la propria strada.»

    Con “Budapest”, Kiara non si limita a cantare un’esperienza personale, ma ci chiama a vivere, spingendoci a riflettere su quanto sia importante non lasciare che il passato impedisca di godere del presente.

  • “Comfort Zone”, il nuovo singolo di Michela Baselice

    Cosa spinge una giovane artista a lasciare la strada sicura per inseguire ciò che teme? Michela Baselice lo sa. Dopo aver conquistato l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori duettando con Giorgia a Stasera c’è Cattelan su Rai 2, la talentuosa cantautrice campana torna con “Comfort Zone” (Daylite/The Orchard), singolo con cui racconta una scelta precisa: mettersi in discussione, quando sarebbe più facile restare immobili.

    Non è un caso che proprio lei, che ha calcato palchi prestigiosi come la Biennale di Venezia e Villa Ormond durante il Festival di Sanremo, abbia deciso di dar voce al momento in cui si deve smettere di giocare sul sicuro. “Comfort Zone” è la fotografia di quell’istante: il punto di rottura tra ciò che ci fa sentire protetti e ciò che ci permette di evolvere.

    «Cantare con Giorgia è stato un punto di svolta: un momento in cui ho capito che la paura del cambiamento è una trappola – spiega Michela -. “Comfort Zone” nasce da quella consapevolezza: il vero rischio è restare dove tutto sembra facile.»

    Ed è proprio da questa riflessione che prende forma un brano capace di raccontare un’intera generazione, sospesa tra il desiderio di esporsi e la paura di fallire.

    «Tu rimani nella comfort zone, dentro un video ma non è TikTok. Ti fai pare tipo no no stop, è un film che so»: in poche righe, Michela descrive perfettamente la realtà di molti giovani di oggi, intrappolati in un loop digitale, dove scrollare uno schermo sembra sufficiente per sentirsi vivi, ma non lo è. “Comfort Zone” parla di chi si rifugia dietro a un display, dove la ricerca di approvazione online diventa spesso una scusa per non affrontare il mondo reale.

    Michela lo racconta con un linguaggio diretto, figlio del tempo che viviamo, capace di parlare la stessa lingua di chi ascolta, senza sovrastrutture. A rendere ancora più incisivo il messaggio, è un sound pop-dance elettronico dal ritmo coinvolgente, che richiama le atmosfere da club, con il battito della musica che accompagna i pensieri di chi balla per dimenticare e lasciarsi andare, ma finisce per riflettere. Un mix sonoro che rende un tema intimo un vero e proprio grido generazionale.

    In un momento storico in cui l’immobilità sembra più rassicurante del cambiamento, “Comfort Zone” diventa il suono di chi sceglie di rischiare, di chi è pronto a uscire dal proprio porto sicuro e affrontare ciò che conta davvero.

    Ma questa traccia non offre risposte semplici. È un invito a rallentare, a guardarci dentro e trovare il coraggio di varcare quella linea invisibile che separa ciò che ci fa sentire al sicuro da ciò che può realmente farci crescere. Un’esortazione a rompere i confini autoimposti per spingerci oltre ciò che rassicura. Perché, alla fine, la domanda rimane una sola:

    Quanto siamo davvero disposti a rischiare per tutto ciò che desideriamo?

    Perché, in fondo, come ci ricorda questa traccia, le cose che contano si trovano sempre un passo oltre la linea di ciò che conosciamo.

    Abbandonare la superficie per affrontare la profondità delle proprie ambizioni: questo è il messaggio centrale, sottile ma potente, di un pezzo che parte dal dubbio, attraversa la paura e si apre alla possibilità.

    Utilizzando una relazione complicata come metafora di conflitto – «Prendo coscienza, posso stare anche senza. Questo amore è troppo rock & roll» -, Michela evidenzia l’importanza di scegliere sé stessi, anche a costo di lasciare andare ciò che rassicura ma non arricchisce.

    Una narrazione quanto mai attuale, se si considera che, secondo un’indagine dell’ISTAT del 2023, il 32,3% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni dichiara di avere paura del futuro, un sentimento ancora più marcato tra le ragazze (42,1%) rispetto ai ragazzi (23,1%).

    “Comfort Zone” diventa così un incoraggiamento ad abbandonare ciò che trattiene, per abbracciare l’incertezza del nuovo. Perché a volte, per trovare davvero sé stessi, bisogna avere il coraggio di scegliere l’incognita al posto della sicurezza.

    Per Michela, rinunciare al rischio è la scelta più pericolosa, come lei stessa dichiara:

    «Non c’è niente di più difficile che ammettere a sé stessi di essere rimasti fermi per paura. Questa canzone nasce dal momento in cui mi sono accorta che la mia comfort zone non era altro che una prigione dorata. Uscirne è stato doloroso, ma anche necessario. Voglio che chi ascolta capisca che il coraggio non è non avere paura, ma attraversarla.»

    Con “Comfort Zone” l’artista si posiziona al centro di un discorso più ampio: il bisogno di saper rischiare in un’epoca in cui la paura dell’incertezza domina le scelte di vita. Viviamo in tempi dove l’insicurezza economica, sociale ed emotiva spinge i giovani a cercare rifugi sicuri, anche a costo di spegnere le proprie ambizioni. In questo contesto, “Comfort Zone” è un appello a reagire.

    La giovane artista campana propone una nuova narrazione nella musica italiana. Michela non ama i percorsi scontati: vincitrice del MYllennium Award 2024 con “Abbassa la Cresta”, ospite in eventi di rilievo come l’Ischia Global Festival e semifinalista a Una Voce per San Marino, si è già fatta notare per la sua abilità tecnica e per saper portare sul palco racconti veri, legati ad un vissuto personale condivisibile da molti giovani. E se il duetto in TV con Giorgia è stato per molti l’inizio di una grande avventura, “Comfort Zone” è la dimostrazione che la cantautrice non ha intenzione di fermarsi.

    «Quello che ho imparato – conclude – è che non c’è mai un momento giusto per rischiare. Il momento giusto te lo crei tu, quando smetti di pensare a cosa potresti perdere e inizi a concentrarti su tutto quello che potresti trovare.»

    Con questo brano, Michela Baselice conferma che è qui per restare – fuori dalla comfort zone -, inserendosi tra le voci femminili più interessanti della nuova scena musicale italiana. Non per dichiarazioni roboanti, ma per la capacità di raccontare verità che riguardano tutti.

    “Comfort Zone” non promette certezze, ma ci ricorda quanto valga la pena provarci. Perché, come dice Michela, «la vera comfort zone è imparare a non averne bisogno». Il cambiamento spaventa, ma la staticità è molto più rischiosa.

  • Tra destino e libertà, Gemma canta gli incontri inevitabili in “Le linee delle mani”

    Esiste davvero il caso? O siamo tutti legati da fili invisibili tracciati molto prima che ci incontrassimo? Domande antiche, ma sempre attuali, a cui il cantautore romano Gemma cerca di dare una risposta con “Le linee delle mani” (Daylite/Altafonte Italia), il suo nuovo singolo disponibile in tutti i digital store.

    Un brano che affascina e incuriosisce, perché parla di ciò che tutti, almeno una volta, ci siamo chiesti: quanto di ciò che viviamo è frutto del destino? E se le persone che incontriamo non fossero altro che tappe obbligate di un percorso già scritto, inciso sulla pelle, come tracce segrete da decifrare?

    Le linee della mano, secondo la tradizione, raccontano il nostro cammino: chi siamo e dove stiamo andando. In molte culture, da secoli, la chiromanzia cerca di leggerle e interpretarle: la linea della vita, quella del cuore, della testa. Linee che sembrano disegnate da un autore invisibile, diverse e irripetibili per ciascuno di noi, come se ogni mano custodisse una storia unica. In base ad alcune credenze, cambiano con il tempo, seguendo le scelte che facciamo e gli incontri che ci segnano, come se la vita riscrivesse continuamente il nostro percorso. Secondo uno studio pubblicato sulla Harvard Gazette, la tendenza umana a cercare spiegazioni “predestinate” per eventi significativi nasce dal bisogno di attribuire un senso all’esistenza.

    Gemma parte proprio da questa riflessione per raccontare una storia che riguarda tutti: quella degli incontri che sembrano inevitabili, e lo fa attraverso una narrazione fatta di immagini vivide e riconoscibili, dando voce a quegli intrecci personali capaci di cambiare il corso delle nostre vite.

    «Tu ci pensi mai, se fossi nata dall’altra parte della Terra, tra distanze siderali, ci incontreremmo figli di congiunzioni astrali?»: un interrogativo che suona familiare a chi ha provato a spiegare un legame che appare scritto da sempre. Gemma trasforma queste suggestioni in musica, con un sound avvolgente che accompagna l’ascoltatore in un percorso sonoro tra casualità apparente e trame invisibili tessute dal destino.

    In un mondo frammentato, in cui viviamo iperconnessi ma spesso distanti, “Le linee delle mani” ci riporta a un concetto semplice e rivoluzionario: le connessioni spontanee (quelle che sentiamo inevitabili) non hanno bisogno di algoritmi. In un recente report del Pew Research Center, emerge come oltre il 60% delle persone creda che gli incontri più significativi della loro vita siano frutto del destino o di una “forza superiore”.

    Forse non sapremo mai se tutto è scritto, ma in una contemporaneità dove tutto sembra calcolato e programmato, “Le linee delle mani” ci ricorda che alcune connessioni sfuggono a qualsiasi schema.

    «Mi ha sempre affascinato l’idea che determinate persone entrino nella nostra vita per caso, ma poi restino come se fossero sempre state lì – spiega Gemma -. Forse tutto è scritto sulle nostre mani, o forse siamo noi a decidere come leggere quelle linee. La verità? Non lo so, ma credo nella forza di quegli incontri che ti cambiano senza spiegazioni.»

    Parole semplici, ma ricche di significato. Un invito a osservare le nostre storie personali con uno sguardo nuovo, a chiederci se davvero ciò che accade lo fa per caso o se ci muoviamo, inconsapevolmente, lungo traiettorie già disegnate.

    Tra poesia e realtà, “Le linee delle mani” è anche una riflessione sui paradossi della vita: «Nello stesso cielo, alla stessa ora, c’è chi nasce e chi muore, mentre noi due, destini che si cercano.» In una sola frase, Gemma mette a fuoco una verità spesso taciuta: mentre il mondo continua il suo ciclo di opposti – vita e morte, amore e odio – ci sono storie che, contro ogni probabilità, si intrecciano. Ed è proprio in questi incontri, apparentemente casuali, che troviamo significato.

    Gemma, con un percorso musicale tra premi e palchi importanti, prosegue il suo cammino dopo i successi raccolti con “Ogni momento che passa” e “12 tocchi“, che ha emozionato per il suo inno alla gratitudine e alla vita. Con “Le linee delle mani”, l’artista romano – già vincitore del concorso europeo Yes We Sing e finalista nel contest Zocca – Paese della Musica promosso da Vasco Rossi – conferma il suo talento nel dare voce a quei pensieri che tutti, prima o poi, ci troviamo ad avere: quanto dipende da noi e quanto, invece, è già deciso?

  • “Dinero”: il singolo d’esordio di LOWBLOW che dà voce a chi si sente perso nel mondo del lavoro

    La precarietà economica, le incertezze sul futuro lavorativo, il desiderio di riscatto e il prezzo che si paga per ottenerlo: questi sono i temi che attraversano “Dinero“, il singolo d’esordio di LOWBLOW, un brano che ridefinisce il concetto di “successo” nella società odierna, facendo luce su un mondo che idolatra il denaro ma spesso ignora i valori che dovrebbero davvero contare. Con una scrittura che non si risparmia, LOWBLOW si afferma come una delle penne più interessanti della nuova scena italiana, offrendo al pubblico un punto di vista fresco e disilluso, in grado di cogliere e tradurre in barre una tra le più gravi fonti di malessere generazionale.

    “Dinero” è uno spaccato attualissimo, un ritratto spietatamente disarmante su una realtà fatta di sacrifici, ostacoli e compromessi, in cui il conflitto tra la ricerca di ricchezza materiale e la consapevolezza che, alla fine, ciò che conta davvero non può essere comprato, diventa sempre più marcato.

    Questo scenario di incertezze e insoddisfazione si rafforza ulteriormente con un dato allarmante: attualmente, il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è sopra il 30%, una cifra che rappresenta una crescente difficoltà per i giovani, impegnati nella lotta quotidiana per trovare un posto, il loro posto, nel mondo del lavoro. “Dinero” diventa così un’analisi necessaria, che si fa ancora più concreta alla luce di questi numeri. Inoltre, secondo le ultime ricerche, la percentuale di giovani che vivono sotto la soglia di povertà è in continuo aumento, una condizione che colpisce una vasta fetta della popolazione. LOWBLOW si fa ambasciatore di queste voci, sottolineando l’illusione di una vita che può essere comprata, e spingendo a una rivalutazione dei veri valori, lontano dalla superficialità consumista.

    In un contesto dominato dalla cultura del “mostrare”, che esalta il denaro come misura di realizzazione, ma che, al contempo, svuota l’animo di chi, pur avendo tutto, si ritrova a fare i conti con un vuoto interiore che sembra impossibile da colmare, “Dinero” ci invita a prestare attenzione all’impatto di questo dualismo nelle scelte quotidiane, rivelando il prezzo, psicologico, emotivo e fisico, di questa corsa, come lo stesso LOWBLOW spiega:

    «Attraverso “Dinero”, voglio stimolare un dialogo sui simboli di realizzazione che la nostra cultura promuove incessantemente. Questo brano è un invito a guardare oltre l’aspetto materiale, riscoprendo gli aspetti della vita che arricchiscono veramente l’anima.»

    Con questa dichiarazione, l’artista sottolinea il suo impegno nel promuovere un messaggio di consapevolezza e cambiamento, e con uno sguardo impietoso sulla condizione di tanti giovani che si ritrovano a inseguire il sogno della ricchezza senza mai trovarne il vero significato, si fa portavoce di chi è stanco di vivere una vita in cui non si rispecchia.

    Ma la lezione più importante del pezzo è che, nonostante tutto, la conquista materiale non basta. «Che ci faccio se ho solo il dinero, non basterà mai» è il ritornello che accompagna l’ascoltatore in questa riflessione sulla futilità di un benessere che non ha fondamenta morali o emotive.

    Il concept grafico del singolo, con immagini coerenti e fortemente legate al messaggio del brano, completa il discorso, esaltando visivamente il contrasto tra il benessere apparente e il vuoto che ne deriva.

    «La mia musica nasce dalla vita che ho vissuto – conclude l’artista -. “Dinero” vuole far riflettere su quanto il denaro possa influenzare le nostre scelte, ma anche su quanto sia effimero, se non abbiamo una base solida di valori. Non voglio dire che i soldi non servono, ma che non sono tutto. Ciò che conta è come affrontiamo le difficoltà e quanto riusciamo a restare fedeli a noi stessi.»

    Con “Dinero”, LOWBLOW non solo si rivolge ai suoi coetanei, ma lancia una sfida al settore musicale stesso e ai media, a promuovere e dare spazio a voci che trattano temi urgenti, piuttosto che limitarsi al puro intrattenimento.

  • Dal buio dell’assenza alla pista da ballo: l’incredibile alchimia di “Missing You”

    La solitudine è uno dei grandi tempi del nostro tempo, e con “Missing You”, Takao Wazowsky restituisce con precisione l’entità di un’assenza, rendendola tangibile e vicina a chi ascolta. Miscelando differenti texture sonore, la traccia si fa portavoce di una situazione sempre più preoccupante: uno studio recente della London School of Economics, ha infatti rilevato che oltre il 45% dei giovani tra i 18 e i 30 anni si sente più solo rispetto a prima della pandemia. Un fenomeno confermato anche in Italia, dove l’ISTAT ha riscontrato che oltre il 40% dei giovani si sente isolato nella propria quotidianità. Ed è proprio qui, in questo contesto, che “Missing You” trova un significato ancora più rilevante, non solo come progetto musicale ma come spunto per una riflessione collettiva su un tema generazionale.

    Takao Wazowsky, al secolo Marco D’Atanasio, dopo il successo del precedente singolo “T.M.W.”, continua il suo percorso di evoluzione, spingendo i confini del genere elettronico verso un’inedita dimensione intimista.

    “Missing You”, unendo la delicatezza del pop alle vibrazioni energiche della musica elettronica, è un pezzo saturo e profondamente legato al concetto di assenza, nato dalla necessità di Takao di sondare un territorio nuovo, mantenendo però sempre salde le sue radici. In un’alchimia perfetta tra ritmi sincopati e linee vocali emozionali, tipiche del pop cantautorale italiano, il brano consente all’assenza di mutare in un elemento palpabile, diventando protagonista indiscussa di un paesaggio sonoro carico di suggestioni.

    «Woke up alone today, Your side of bed so cold. Heart feels heavy in my chest, life feels grey and old.» («Oggi mi sono svegliato da solo, il tuo lato del letto è così freddo. Sento il cuore pesante nel petto, la vita sembra grigia e spenta.»): sin dal verso di apertura, il dolore, la ferita della mancanza, diventano una forma d’arte che non si limita ad essere ascoltata, ma vissuta per essere interiorizzata, compresa, accettata e superata.

    Dalle origini rock e metal al passaggio all’elettronica, l’abilità creativa di Takao si evince in questo progetto poliedrico, capace di andare oltre la dicotomia tra musica mainstream e underground.

    «”Missing You” rappresenta un lato di me vulnerabile, meno protetto – spiega l’artista -. Ho voluto mescolare la forza espressiva del pop con ritmi elettronici, cercando di rendere in suono le sensazioni che nascono da una perdita significativa.»

    Cresciuto tra le colline umbre, Marco D’Atanasio inizia il suo percorso musicale da adolescente, fondando la band “Burn It Down”. Dopo aver militato nella scena rock e metal, si avvicina alla produzione musicale e, dal 2023, abbraccia il mondo dell’elettronica, ispirato da artisti come Fred Again e Bunt. Questo bagaglio multiforme si riflette in “Missing You”, che riesce ad essere al contempo una ballad malinconica e una traccia da dj set.

    «La musica elettronica – aggiunge – mi ha dato la libertà di esprimermi in modo nuovo. Con ‘Missing You’ ho voluto creare qualcosa che potesse essere vissuto sia in un periodo di introspezione, sia su una pista da ballo in un club.»

    La copertina di “Missing You” sintetizza ed enfatizza il messaggio del pezzo più di mille parole: un abbraccio sospeso, intriso di malinconia, con lo sfondo rosso acceso che amplifica la tensione del momento. L’illustrazione rappresenta perfettamente quel vuoto che un’assenza lascia, trasformandolo in un simbolo visivo. Un’immagine che non solo accompagna la musica, ma la amplifica, rendendola chiara e perfettamente comprensibile già al primo sguardo.

    Nel contesto musicale attuale, dove la contaminazione tra generi è la chiave per raggiungere nuovi orizzonti espressivi, “Missing You” si colloca come un esempio di come il suono possa abbattere le barriere e avvicinare ascoltatori di background diversi. In un’epoca in cui il pop e l’elettronica si incontrano sempre più spesso, Takao Wazowsky non si limita a seguire la tendenza, ma ridefinisce il modo in cui l’elettronica può raccontare storie, stati d’animo ed emozioni. In questo brano, l’assenza non è solo un tema, ma una dimensione che l’ascoltatore è invitato a scoprire, trovando in ogni angolo buio un frammento di qualcosa che ha vissuto o che sta ancora elaborando. Questa riflessione, ci porta a domandarci: quanto di noi stessi resta nelle mancanze che ci segnano? Tra introspezione e sperimentazione, “Missing You” è un viaggio che comincia con il dolore, ma termina con una pista da ballo illuminata, perché la musica non cancella l’assenza, ma ci insegna a ballarci sopra.

  • Tarci canta la confusione del nostro tempo con ironia in “La Terra è piatta”

    Tarci, cantautore siciliano d’adozione toscana, torna con “La Terra è piatta” (Greys Production), il suo nuovo singolo che, con intelligenza e ironia, fotografa una società in bilico tra verità e menzogna, tra scienza e fake news.

    Il titolo stesso – una provocazione che richiama uno dei più celebri complotti moderni –, è solo l’inizio di un racconto musicale che integra una base allegra e orecchiabile a un testo denso di riferimenti all’attualità. Tarci evidenzia la tendenza diffusa a credere in qualunque nuova teoria o “verità”, spesso senza sviluppare un pensiero critico a riguardo.

    “La Terra è piatta” è il racconto di una contemporaneità disarmante, sempre più retta sul filo distopico del vano e dell’assurdo, un brano che prende forma da un periodo di riflessione post-pandemico, in cui la disinformazione ha trovato terreno fertile, mutando la percezione della realtà. Nel testo, scritto dallo stesso Tarci, l’artista denuncia con ironia il caos informativo che ci circonda: «La terra è piatta, la terra è tonda, ogni teoria è perfetta su tutto ciò che mi circonda e la mia testa confusa sprofonda».

    Con una scrittura chiara e pungente, la penna di Tarci affonda nel decadimento dell’istruzione – «I professori non sono più gli stessi, prima facevano didattica frontale» – e nell’abuso della tecnologia che spesso confonde più che chiarire.

    «Non è un attacco o una lezione di moralità – spiega Tarci -, ma un invito a riflettere su quanto siamo pronti a credere a qualunque cosa senza fermarci a pensare. Viviamo in un’epoca in cui avere la “verità in tasca” sembra più importante che ricercarla e comprenderla davvero.»

    “La Terra è piatta”, con la sua arguta spontaneità, riesce a parlare a tutti, senza presunzione. Grazie a una musicalità leggera e a un testo ricco di spunti, il brano invita gli ascoltatori a prendersi del tempo per osservare criticamente ciò che accade dentro e intorno a noi, sottolineando l’importanza del pensiero indipendente in un periodo storico caratterizzato da polarizzazioni e schieramenti superficiali.

    «Credo che l’ironia sia uno strumento potentissimo per affrontare argomenti complessi – aggiunge Tarci -. Con questo brano voglio offrire un momento di leggerezza, ma anche un’occasione per fermarsi e analizzare.»

    “La Terra è piatta” è il risultato della collaborazione con il produttore Massimiliano Cenatiempo, già al fianco di Tarci nel precedente singolo, “Tu”. L’arrangiamento, curato nei minimi dettagli, restituisce un equilibrio perfetto tra il tono ironico del testo e la rilevanza del messaggio.

    Per Tarci, fare musica non significa solamente intrattenere, ma sollecitare il pubblico ad interrogarsi, a porsi quesiti sulle dinamiche che plasmano il nostro modo di pensare e agire. In un mondo in cui le informazioni si accumulano senza ordine, questa release diventa un vero e proprio richiamo alla consapevolezza e al pensiero critico.

    «Abbiamo bisogno di ritrovare il gusto di farci domande, di non dare nulla per scontato. Se questa canzone riuscirà a far sorridere e pensare anche solo una persona, avrò raggiunto il mio obiettivo.» – Tarci.